Preti e parrocchie: i Pacchiani ecclesiastici
Quando ho esaminato le varie iscrizioni nei libri dei defunti di Beduzzo ho incontrato il “reverendo don Remigio Pacchiani” sacerdote proprio a Beduzzo. Pellegrino Raschi, l’arciprete parroco di quella pieve dice infatti che egli era “della mia parrocchia”. Le registrazioni testimoniano che questo prete era intervenuto, il 3.9.1715 e il 9.8.1726, in occasione dei sacramenti ad una bimba nata morta e di un battesimo. Le notizie in questione erano state trascritte nel libro dall’arciprete dopo che costui ne ebbe avuto notizia dal Pacchiani e, scorrendo le registrazioni parrocchiali, il nome di don Remigio ricorre più volte, spesso in relazione a nascite con pericolo di vita del neonato1.
Si tratta in ogni caso dell’unico ecclesiastico appartenente al ramo familiare di Beduzzo: dovrebbe trattarsi infatti del Remigio – nome rarissimo, altrimenti mai incontrato nella ricerca2 – nato da Giovanni Antonio e Maria Antonia tra il 1664 ed il 1666, a gennaio o febbraio (purtroppo c’è qualche errore nelle date del libro: è scritto 1668, ma l’annotazione è collocata tra registrazioni relative agli anni 1664 e 1666).
E’ probabile che tale nome sia stato imposto proprio in relazione ad una carriera ecclesiastica già programmata dalla famiglia, come non era raro accadesse. San Remigio fu vescovo di Reims intono al 500 d.C. e - cosa per noi più significativa - era santo contitolare di una chiesa dell'importante abbazia di Berceto, rilevante centro sulla via Francigena e inoltre luogo natale di Pier Maria Rossi.
Don Remigio Pacchiani va ad aggiungersi alla serie di religiosi con questo cognome rinvenuti nel corso delle ricerche, indice che le famiglie di provenienza avevano potuto avviare qualche figlio alla carriera ecclesiastica. Si tratta di discendenti del ramo che da Beduzzo si era portato nella zona di Tizzano. Vediamo qualche notizia su questi preti, ma non solo dal punto di vista della loro collocazione nelle varie famiglie, bensì come categoria, cercando di abbozzare un quadro della vita degli ecclesiastici rurali dell'epoca.
La parrocchia del paesino di Reno, al di là del torrente Parma, più o meno di fronte a Beduzzo, è intitolata a san Nicolò. Pare sia stata istituita come tale solo nel 1564, essendo in precedenza semplice “rettoria” ossia chiesa dipendente dalla Pieve di Beduzzo. Questa ricomprendeva nella propria giurisdizione, oltre a Petrignacola, Sauna, Pugnetolo e Signatico, anche la chiesa di San Nicolò a Reno, ricordata in una pergamena del 1230 con l’antica denominazione “capella de Vacarezza in plebe de Biducio”3.
La chiesa di San Nicolò di Reno appare nelle antiche fonti ecclesiastiche sempre dipendente dalla pieve di Beduzzo: così in "Praebendae et beneficia civitatis et dioecesis Parmensis - Regestum vetus" la cui redazione si fa risalire agli anni 1470-1493; e ancora nel "Catalogus beneficiorum civitatis et diocesis Parmae", completato nel 1520; così infine anche nella "Descriptio omnium civitatis et dioecesis Parmensis ecclesiarum, monasteriorum et beneficiorum in eis fundatorum" del cancelliere e notaio vescovile Cristoforo Dalla Torre del 1564. Le tre fonti ed il riferimento a Beduzzo/Reno sono citate dallo Schiavi, cit., rispettivamente a pag. 53, 86 e 193. Anche il Magani riferiva nel 1910 che "la parrocchia era sempre stata soggetta alla pieve di Beduzzo, da cui dista un miglio circa, sebbene da esso divisa dal Parma"4.
Sulla base delle varie testimonianze ecclesiastiche finora raccolte l'ipotesi di lettura della situazione potrebbe essere che Reno, una volta chiesa o rettoria dipendente da Beduzzo (come tale negli elenchi canonici di Parma: 1490 ca., 1520, 1564), divenne poi (ufficialmente dal 1564: v. Dall'Aglio, cit.) autonoma parrocchia (il titolo arcipreturale rimaneva però, contrariamente a Beduzzo, onorario). Salvi errori di scrittura di formule ripetitive, a S. Nicola di Reno nel 1578 era previsto il fonte battesimale (cfr. Visita Castelli, cit.), quindi vi si amministrava il battesimo, come in una pievana.
A Reno la famiglia Pacchiani ha rappresentato una vera e propria dinastia di parroci: un Nicolò almeno dal 1520 al 1564 – come primo titolare della nuova parrocchia – o secondo diversa datazione dal 1537 al 15615; un Giuliano, attestato nel 1596 (ma anche nel 15646), nipote del primo; un Giovanni Battista nel 1651, nipote a sua volta di don Giuliano, la cui presenza a Reno è infatti deducibile da vari documenti7. Questo Giovanni Battista dovrebbe essere anche colui che fondò nell’Oratorio della Natività di Tizzano, nel 1636, un beneficio intitolato a San Francesco, trasferito poi nel 1759 a Reno8. E il Magani9 dice che presso la chiesa di Reno fu eretto l'oratorio di S. Francesco d'Assisi, a poca distanza dalla parrocchiale, con un "beneficio semplice" "di patronato de' Pacchiani": questo potrebbe essere stato promsso da un don Francesco, che insieme ad altri Pacchiani popola la lista dei parroci di Reno o comunque degli ecclesiastici nell'ambito della parrocchia in questione. Infine un Giovanni Angelo nel 1662 e ancora un Pietro dal 1662 al 1672. Altre notizie su questi ecclesiastici di Reno sono riportate sotto le notizie di tale ramo.
A Bannone, località nei pressi di Traversetolo, dove esisteva originariamente un priorato regolare intitolato alla Beata Vergine Maria e in cui anche in seguito il rettore avrebbe portato il titolo di priore, quest’ultima carica era ricoperta nell’anno 1520 da don Camillo de’ Rossi, probabilmente della stessa famiglia dei feudatari già citati. Ciò farebbe supporre che l’incarico in tale chiesa fosse prestigioso e collegato a un beneficio non trascurabile, come peraltro confermano le cifre del “catalogus beneficiorum civitatis et diocesis Parmae”. Questo documento, edito dallo Schiavi10, è una copia risalente ai primi del Seicento di un “estimo” datato 12 gennaio 1520 che rispecchiava lo stato delle chiese e dei benefici della diocesi a tale data. Per Bannone, rientrante nella giurisdizione della Pieve di San Martino di Traversetolo, il Priorato è annotato con un valore annuo di lire 200, decisamente più alto della media delle chiese dei paesi del contado, attestate sulle 50. Questo valore rappresenterebbe il reddito annuo netto dei beni beneficiari di pertinenza di quella chiesa, dedotti i relativi obblighi e gravami. Le ricche chiese della città erano ancora meglio dotate, come per esempio testimonia, nell’ambito della chiesa maggiore di Parma, la prebenda canonicale “de Pizo Inferiori, quam tenet don Ottavianus M. Sforcia”, pari a 900 lire e collegata ad uno Sforza. In un secondo manoscritto pubblicato da mons. Schiavi nel 1940 e riferito all’anno 156411, la carica di priore era invece occupata da don “Bernardinus de Pacchianis”, il dottore in filosofia già incontrato in varie carte di Bannone. Da altre fonti nel 1622 era rettore e priore don Nicolò Pacchiani, che risulta essere il nipote del suddetto Bernardino12.
L’impressione di una particolare importanza del rettore di questa parrocchia è ulteriormente confermata dalle carte della “visita Pacchiani”, reperibili presso l’Archivio Vescovile di Parma. A somiglianza delle visite vescovili fatte tra le parrocchie ed istituzioni ecclesiastiche della diocesi, come la “visita Castelli” di cui parlerò fra poco, anche le circoscrizioni più ristrette, come i vicariati foranei, erano soggette ad una sorta di ispezione da parte dei vicari, rappresentanti dell’autorità episcopale. Tali incaricati, in ragione della funzione da svolgere e della rappresentanza del vescovo, dovevano verosimilmente essere scelti tra gli ecclesiastici più preparati o comunque tra le figure di maggior rilievo.
Nella busta d’archivio in questione è conservato un fascicoletto in carta, privo di intestazione d’epoca, ma in cui a carta 15 si può leggere “...mihi Nicolao Pacchiano rectori ecclesie parochialis Purificationis Beate Virginis Marie prioratus nuncupate ville Banoni uti vicario foraneo...”, più oltre, a carta 22, si legge “quod obtinuit de anno 1622” e che tale parrocchia era “nulli plebi subiecta”. La visita ha luogo nell’anno 1628 nel vicariato di Traversetolo, in cui rientra Bannone.
Com’era la situazione degli ecclesiastici nel tardo medioevo e anche nei secoli seguenti? Non necessariamente il prete era persona molto colta, in quanto vi erano diversi gradi d’istruzione e i preti di campagna non dovevano certo essere all’apice di una ipotetica scala culturale, anche se in vari casi – almeno in periodi precedenti quelli considerati – il curato fungeva da insegnante, sostituendo la figura del maestro di scuola. L’arciprete, come nel caso di Beduzzo, era però già appartenente ad un ceto in qualche modo più elevato del semplice prete, come invece pare essere stato don Remigio, che sembra solo coadiuvare l’arciprete don Pellegrino Raschi nelle incombenze e che comunque non arriverà mai a scrivere sui registri neppure quei fatti cui assistette di persona, riferiti all’arciprete il quale poi li annotava nei libri13.
In generale i parroci, comunque, erano sicuramente un punto di riferimento per gli abitanti dei paesini montani quanto a cultura e conoscenza, rappresentando quelli che sapevano inoltre leggere e scrivere. Spesso, durante le operazioni degli estimi, le denunce dei capifamiglia erano scritte dai parroci; questi senz’altro fungevano da garanti della lealtà dei propri parrocchiani, in ogni caso – come accaduto a Reno – il parroco era presente in tali momenti.
Sarebbe interessante esaminare più approfonditamente l’organizzazione intorno alla parrocchia: i “benefici”, le rendite collegate alla chiesa che dovevano rendere possibile l’esistenza dignitosa del parroco e le spese per il mantenimento della chiesa parrocchiale, le decime, i proventi collegati alle attività di sepoltura e ad altre proprie del parroco, ma si andrebbe troppo oltre lo scopo del presente lavoro. Due parole vanno però dette sui rapporti delle chiese col territorio.
In prima approssimazione, senza addentrarsi troppo nei problemi collegati alle circoscrizioni ecclesiastiche e tantomeno nei rapporti fra queste e quelle civili, il territorio di ogni pieve comprendeva diverse cappelle, poi gradualmente trasformate nel tempo in parrocchie. Originariamente solo nella chiesa pievana venivano celebrati i battesimi. Un villaggio che acquisiva importanza anche demografica richiedeva senz’altro di avere una propria chiesa e un proprio parroco e vista la necessità di mantenerlo, ciò significava probabilmente attestare la solidità anche economica della comunità. La chiesa di Beduzzo è pieve e il suo rettore è l’ “archipresbiter plebis Bedutii”. C’erano poi cappelle dipendenti, come per esempio quelle di Petrignacola, di Vestola e, come detto sopra, di Reno, almeno fino al 1564, anno in cui è eretta ad autonoma parrocchia.
In tema di circoscrizioni è inoltre interessante ricordare che al visitatore apostolico - una sorta di ispettore ecclesiastico di nomina papale, dotato di speciali poteri (si veda di seguito quanto detto a proposito della visita di mons. Castelli) - era dato il potere di modificare i confini tra parrocchie, accorpando e smembrando a seconda della numerosità e dislocazione fisica dei parrocchiani. Tale circostanza potrebbe forse essere posta in relazione con l’ipotizzata separazione da Beduzzo e l’erezione di Reno ad autonoma parrocchia. E’ infatti possibile che la difficoltà per raggiungere la chiesa di Beduzzo attraversando il torrente Parma – si ricordi che solo la chiesa pievana poteva amministrare il battesimo – avesse infine contribuito a giustificare tale misura. Non è però sicuro che l’erezione della parrocchia abbia modificato già dal 1564 la circoscrizione: inoltre tale parroco ebbe solo dal 1696 il titolo onorario di arciprete. Non ho riferimenti documentali che possano far luce sulla cosa: poteva essere, quindi, che comunque Reno sia rimasto ancora per parecchio tempo all’interno della pieve di Beduzzo.
La pieve doveva contare – come pare fosse la regola nell’Italia del nord alla fine del medio evo – poche centinaia di fedeli. Un conteggio per Beduzzo alla fine del Cinquecento, basato sull’estimo del 1567 (data supposta dal contesto del documento) che elencava 56 nuclei familiari, riporta 176 persone, considerando però che non sono conteggiati i minori di 14 e i maggiori di 60 anni (l’età più alta che risulta è 56 anni). Il calcolo al 1596, riferito ad un censimento delle “bocche umane” porta ad un totale di 199 tra i 10 ed i 70 anni.
Si può ancora osservare che nel nominare il parroco aveva qualche ruolo la popolazione, oltre che la gerarchia ecclesiastica: pare infatti che vi potesse essere una sorta di “gradimento” dei parrocchiani nei confronti del proprio pastore (per le cappelle dipendenti ciò pare avvenisse non raramente).
Nel caso di Beduzzo il parroco porta di fatto sempre cognomi di famiglie del paese (Raschi, Venturini, ecc.)14 e in generale, dai dati ottenuti dalle fonti, per quanto parziali come numero, zona e periodo temporale, emerge come i parroci non fossero forestieri né provenissero da zone lontane dalle parrocchie in cui avrebbero prestato il proprio ministero. Sembra infatti che potesse esserci se non la coincidenza della parrocchia con il paesino d’origine (come nel caso di don Remigio di Beduzzo, che tuttavia non era il parroco), almeno una certa vicinanza dei due.
Un’interessante fonte d’informazioni sullo stato delle parrocchie del Parmense e quindi anche di quella di Beduzzo è oggi data dall’edizione degli atti relativi ad un’ispezione condotta nella diocesi di Parma nell’anno 1578 dal vescovo di Rimini, appositamente incaricato dal papa quale “visitatore apostolico”, con specifici poteri di controllo e di disposizione. Tali dati risalenti appunto al 1578 e 1579 possono comunque fungere da punto di riferimento anche per le epoche contigue.
La documentazione citata si trova conservata presso l’Archivio Diocesano di Parma, diretto da don Enrico Dall’Olio, che ha anche curato questa prestigiosa edizione in due volumi degli atti della visita: “Visitatio civitatis Parmae 1578-79 rev.mi Joannis Baptistae Castelli”, edita a Parma nel 2000, da cui ho tratto le notizie.
Per quanto riguarda la condizione di vita del clero, il quadro che ho riassunto in via generale sopra trova sostanzialmente conferma; si ricavano però particolari più definiti e, se vogliamo, curiosi della vita dei preti. Da documenti della prima metà del Cinquecento si evince che si potevano incontrare facilmente preti che portavano armi e che curavano affari temporali.
A seguito delle situazioni riscontrate direttamente nel corso di una visita pastorale in città e nella diocesi effettuata dal vescovo di Parma Ferdinando Farnese, questi emanava in data 1° marzo 1577 un decreto sull’abbigliamento dei preti, prescrivendo severamente la berretta e la veste talare, da cui si arguisce che, anche per quanto riguardava le vesti, almeno una parte del clero si comportava come qualunque privato.
Con la visita apostolica del vescovo di Rimini, Castelli, in quegli stessi anni, emergeva che parecchi preti avevano a servizio, quali perpetue, donne evidentemente non sempre in età o condizione tale da essere considerate al di sopra di ogni sospetto. Il visitatore prescriveva in tali casi l’immediato allontanamento delle donne, anche se familiari del prete in questione. La perpetua avrebbe dovuto avere non meno di 48 anni per essere “in regola”.
Spesso inoltre, si incontravano parroci che non risiedevano in canonica, presso la parrocchia, ma a casa propria o di parenti: ciò avveniva anche a Beduzzo, come dirò più oltre. Per incentivare i parroci alla cura dei parrocchiani, il vescovo Castelli ordinò in questi casi che entro un anno si costruisse, se mancante, la canonica, altrimenti che il parroco vi risiedesse effettivamente.
L’edificio della canonica andava edificato in pietra o mattoni, per garantire una dignitosa esistenza al parroco. Come mezzi di finanziamento sarebbe stato utilizzato un terzo dei redditi del beneficio di quella chiesa. Questo dato, oltre ad essere interessante perchè rivela un elemento importante sulla residenza dei parroci, conferma quanto valeva già per i secoli precedenti, cioè che l’edificio dove abitava il parroco era - almeno potenzialmente - di qualità migliore delle case degli abitanti del contado.
Anche quanto detto in generale sul livello culturale dei parroci di campagna può venire confermato da questa fonte parmense. Da essa si ricava infatti che non sempre la preparazione religiosa e culturale poteva dirsi adeguata al loro ministero, tanto che in alcune occasioni il visitatore apostolico ordinò che i preti si sottoponessero a specifici esami supplementari, limitando fino al loro superamento l’esercizio delle proprie funzioni, in particolare per quanto riguardava l’amministrazione dei sacramenti. Frequentissimi erano i casi in cui i parroci non insegnavano catechismo e non tenevano neppure adeguate prediche domenicali!
Va detto che in altri casi i parroci avevano organizzato invece delle scuole ove essi insegnavano, oltre a catechismo, grammatica e a far di conto (c.d. “ludi magistri”), iniziative accolte con entusiasmo dalla popolazione, specialmente nelle località montane.
Una funzione che i preti svolgevano nel contado poteva essere infine quella di cura di determinate opere pubbliche, restaurando ponti, facendo costruire barche: senz’altro in connessione alla cura delle anime, per rendere agevole raggiungere la chiesa o gli stessi parrocchiani, ma certamente anche con vantaggio generale. Ad essi spettava comunque anche l’organizzazione degli eventuali lavori di ampliamento della chiesa, qualora per l’aumento del numero dei fedeli non fosse stato più adeguato lo spazio disponibile.
Si deve osservare che in massima parte, almeno in montagna, queste chiese non dovevano navigare nell’oro, spesso c’erano problemi anche a procurare l’olio per la lampada della chiesa. Ho incontrato un’annotazione a margine di un libro parrocchiale riferita proprio ai debiti per olio di alcuni parrocchiani verso la loro chiesa.
Poco lontano, invece e negli stessi anni, come dirò più avanti, il parroco non si faceva problemi per diminuire le entrate della chiesa a favore di quelle del proprio parentado. Ciò a riprova di una probabile grande differenziazione di situazioni anche da villa a villa. E per citare anche alcuni interessanti esempi di ecclesiastici con nome Pacchiani, si può osservare che i parroci più pretenziosi e dotati di mezzi, sebbene questi esempi siano di oltre un secolo più recenti rispetto all’epoca considerata sopra, amavano abbellire la propria chiesa con arredi di pregio: così, nel 1702, il parroco di San Michele a Lesignano Bagni, don Camillo Pacchiani, faceva realizzare un altare in legno dorato per contenere un dipinto con un’immagine sacra, facendo scolpire nella parte alta le proprie iniziali e l’anno (“C.li P.ni 1702”) nonché uno stemma con motto (una foglia di palma o forse un'ala: il motto si è rivelato purtroppo al momento illeggibile per la posizione dell’opera).
E nel 1696 don Nicolò Pacchiani, parroco di San Nicolò a Cazzola di Traversetolo, ordinava di eseguire un armadio per la sagrestia, in cui faceva intarsiare le proprie iniziali e l’anno di esecuzione, come risulta da una relazione del vicario foraneo di Traversetolo dell’ 11 settembre 1928. L’altare con lo stemma è tuttora in loco nell’antica chiesa romanica, il cui parroco era don Enrico Dall’Olio, direttore dell’Archivio Storico Diocesano Vescovile di Parma, grazie al quale ho potuto vederla. La relazione del vicario foraneo, un dattiloscritto, è conservata nel citato Archivio. Ne ho una copia parziale, fornita dall’impagabile ing. Papotti. Dovrebbe trovarsi nella capsa di Traversetolo, sebbene non mi sia stata indicata la collocazione precisa.
Ma andiamo finalmente a vedere come si presentava la chiesa di Beduzzo nel 1578. Come in tanti altri casi, per esempio a Reno, viene ordinato di tinteggiare l’edificio sacro all’interno e all’esterno, di chiudere, almeno d’inverno, le finestre con teli o carta, di recintare il camposanto, affinché non vi entrino animali. Nella chiesa va inoltre introdotto il confessionale (istituito, nelle forme in cui lo conosciamo anche adesso, dalla seconda metà del Cinquecento, intorno al 1565) e regolarizzato entro 4 mesi il fonte battesimale, che doveva stare sulla sinistra entrando dal portale principale, doveva essere di sasso con supporto pure in pietra, realizzato di rame e stagno e chiuso da un coperchio in legno a cuspide. Andava anche apprestato un armadio ove custodire i paramenti sacri.
La chiesa attuale di San Prospero a Beduzzo non è però la stessa visitata dai collaboratori di Castelli. La chiesa dove sono stato anch’io risale al Settecento e ignoro quindi come fosse in precedenza, quando risulta situata in località Mossale di Beduzzo, in posizione più spostata verso la strada che percorre la valle15. Della questione della posizione della pieve prima dell'attuale parlo diffusamente più oltre. La chiesa di oggi presenta comunque una facciata intonacata ed il corpo e il campanile in pietra a vista, che non ha l’aria di essere mai stata intonacata o dipinta.
Il parroco - all’epoca risulta essere stato Giovanni Maria Bertini - evidentemente non risiedeva in canonica, poichè viene dato ordine di costruirla entro un anno.
Questi nella documentazione della visita è segnalato tra coloro che non insegnavano catechismo, né dicevano l’omelia durante le funzioni e viene esortato a porvi rimedio. Un quadro non edificante dunque, ma non diverso da quello di altre parrocchie. A Beduzzo inoltre esisteva, per quanto in condizioni che richiedevano un restauro, un oratorio intitolato alla beata Vergine Maria. La fonte citata indica poi come a Beduzzo vi fosse anche una cappella intitolata a San Giovanni Battista.
Dopo questo giro effettuato tra le varie fonti documentarie, che ci consentono di avere una sorta di quadro di fondo, torniamo ai Pacchiani ed alle loro vicende: preti sono presenti in tutte le località dove ho rintracciato rami della famiglia. Benché la tradizione di avviare un proprio membro alla vita religiosa, per motivi di prestigio e probabilmente di convenienza economica, paia essere stata di ampie dimensioni, la circostanza di trovare tanti preti con un solo cognome nelle stesse zone, a volte uno dopo l’altro parroci delle stesse parrocchie, appare indicativo di un legame tra i diversi rami in cui essi appaiono. Ciò potrebbe infatti derivare dalla tradizione di famiglia, meglio seguita nelle famiglie di maggiore benessere e – forse – cultura, o dove magari già qualcuno si occupava di arti liberali.
La tradizione ed il prestigio facevano probabilmente sì che in parecchi casi la famiglia benestante erigesse un “beneficio” sotto il proprio nome, comprendente evidentemente dei beni che potessero dare un reddito, collegati al mantenimento di un religioso della propria famiglia, magari portante lo stesso nome dell’avo sacerdote. In questi casi ad ogni generazione un figlio avrebbe potuto o dovuto divenirlo, circostanza comune all’epoca.
Ciò contribuisce a spiegare il ripetersi di certi nomi nei preti che abbiamo incontrato in questa storia, per esempio Nicolò. Il nome potrebbe infatti essere stato attribuito al bambino richiamandosi ad un santo venerato in zona e di cui magari esistesse una vicina chiesa, con il proposito esplicito di porlo sotto la protezione del santo stesso in previsione di farlo sacerdote: potrebbe essere il caso di San Nicolò a Reno.
Legami tra le varie famiglie che diedero preti sono comunque ormai accertati. Le vicende della famiglia Pacchiani di Reno di Tizzano, che ha avuto parecchi preti tra i suoi figli, sono descritte poco oltre. Gli spostamenti successivi di alcuni membri di essa sono verosimilmente responsabili anche della diffusione di ecclesiastici Pacchiani in certe zone del Parmense: per questo depongono anche le ricorrenze dei nomi: un don Nicolò è a Reno nel ‘500, a Bannone nel primo ‘600 e ancora a Porporano nel tardo ‘600. Anche altri nomi ricorrenti – come Bernardino – si ripetono sia a Tizzano che nella zona di Bannone. Gli spostamenti dei membri di tali famiglie potrebbero essere stati determinati anche dagli incarichi di parenti come parroci nelle diverse parrocchie della zona.
Poteva peraltro capitare che il prete di famiglia non accedesse ad un beneficio o non reggesse alcuna parrocchia. Questo pare anche il caso di don Remigio a Beduzzo. In tali casi la carriera ecclesiastica diventava meno vantaggiosa e oggi per chi segua queste tracce risulta più difficile identificare queste persone, in quanto non appaiono nella documentazione ecclesiastica relativa alle rendite dei benefici o delle chiese, bensì solo in quella laica e civile degli estimi ai fini dell’imposizione. In tal caso l’unico modo di individuarli è tramite il loro titolo (nel Seicento, per esempio: “D.”) che precede il nome o nel caso in cui siano raggruppati con altri religiosi nelle apposite separate rubriche presenti a volte nei documenti di queste rilevazioni.
Altre possibili osservazioni che emergono da un episodio di favoritismo verso i parenti di cui si parla nella parte relativa al ramo di Tizzano/Reno, sono che l’incarico di prete, o parroco, non pare essere rivestito tanto per vocazione, quanto per mestiere, e mi si passi il termine. Va certo detto che nel corso dei secoli il modo di vedere gli ecclesiastici da parte della popolazione e il loro coinvolgimento nei confronti del “secolo” è assai diverso.
Qui ci troviamo in un’epoca il cui sentire si avvicina già al nostro, ma evidentemente è abbastanza scontato che “fare il prete” sia considerato ancora più che altro un buon affare. La motivazione poteva certo ricercarsi in una vocazione, ma in altri casi sembra più risiedere in ragioni di prestigio di famiglia o perfino in una sorta di investimento. Si ricordi infatti che l'avviamento alla carriera ecclesiastica veniva deciso dalla famiglia in genere già alla nascita del predestinato, al momento di imporgli il nome. Secondo alcuni poteva trattarsi anche di precostituirsi una sorte di assicurazione di vecchiaia per i genitori, che avrebbero avuto la garanzia di qualcuno che si sarebbe potuto occupare di loro in età avanzata, non essendosi creato una propria famiglia.
Era un’occupazione che garantiva rispetto, un po’ di cultura e una disponibilità di mezzi su cui si poteva perfino, forzando un po’ la mano, costruire una certa agiatezza anche alla propria famiglia d’origine. Poteva infatti trattarsi di episodi isolati, ma anche di una vera e propria politica familiare pianificata per aumentare il proprio peso economico, grazie ai vantaggi qui accennati che conseguivano dall'avere un prete in famiglia, specialmente se questo giungeva ad essere titolare di parrocchie ben dotate di beni. Non si tratta di pratiche impensabili tra Quattrocento e Cinquecento.
Infine, per avere una visione d'insieme del fenomeno, per quanto riguarda i Pacchiani del Parmense, si può consultare la tabella seguente, che riporta i vari ecclesiastici di cui ho trovato traccia nelle fonti, annotando anche queste ultime.
Tabella degli ecclesiastici con cognome Pacchiani
? de Pichianis arciprete di Traversetolo (ante 1461): ASPR fondo Comune b. 1450;
Antonio Traversetolo (1666, 1668): ASPR fondo Comune b. 1985, -6, -8 cit. tra religiosi;
Nicolò rettore di Reno di Tizzano (1520 – 1564): Dall’Aglio; ASPR, not.le ben. eccl.; estimi;
Giuliano parroco di Reno di Tizzano (1578, 1604): ASPR, not.le ben. eccl. f. 36 Reno;
Giovanni Battista parroco di Reno di Tizzano (1618, 1631, 1651): ASPR notarile Comelli e Bazzini; AVPR libro batt. Beduzzo;
Giovanni Angelo parroco di Reno di Tizzano (1662): Dall’Aglio, cit.;
Pietro (Pietro Maria) parroco di Reno di Tizzano (1662 (rectius 1670) – 1672): Dall’Aglio; ASPR Com. XXVII; AVPR batt. Reno;
Francesco Maria Reno di Tizzano (1684): ASPR, estimo cat. farn. b. 1150, Reno; ASPR not. Tizio Bazzini;
Antonio Maria rettore Beneficio San Francesco a Reno di Tizzano ??? (1800??): scheda spersa AVPR (inoltre in base a notizie sparse su un Antonio di Reno: 11.1.1866 Can. S. Secondo, morto a Copermio (da "Diz. biogr. del clero di Parma", da appunto ing. F. Papotti);
Remigio 1665? – 1753 sacerdote a Beduzzo (1715, 1726): AVPR, libri parrocchiali Beduzzo;
Bernardino doctor - priore S. Maria di Bannone (1581, 1604, 1610? - 1585.7.6-1621.8.6): ASPR, not.le ben. eccl. f. 14, Bannone d. 18 e 20;
Nicolò di Camillo rettore e priore S. Maria -Vicario F., Bannone (1622 1621.12.11-1638.3): ASPR, not.le ben. eccl. f. 14, Bannone d. 52 DAglio;
Giovanni Battista Provazzano (1684): ASPR, estimo cat. farn. b. 1131, Provazzano;
Cristofaro Provazzano (1725): ASPR, estimo cat. farn. b. 1131, Provazzano;
Nicolò (fratello del seguente) parroco di S. Nicolò di Cazzola (Trav.) (24.3.1684 – 7.2.1703): AVPR capsa Bannone H e Dall’Aglio, p. 378; fa fare armadio anno 1696. Forse lo stesso è poi parroco di Porporano (1674 – 1684): AVPR, libri parr. Porporano (batt. n. 2); Dall’Aglio [v.: Cfr. ASPR Cat. Farn. 502, anno 1699];
Camillo (fratello del precedente) + 1707 parroco di S.Michele aLesignano Bagni (1649 – 1703): AVPR; Dall’Aglio, p. 568. Fa fare altare anno 1702 (con stemma, v. infra nel sito);
Pietro parroco [NB: in carte Bazzano: presentatio] di Bazzano (25.5.1728 - 19.8.1763): F. Barili, “Arcipreti di Bazzano”, cit. da Lasagni; AVPR carte Bazzano;
Pietro parroco di Respiccio (Fornovo) (10.10.1640 – 31.8.1648): Schiavi, p. 436 e Dall’Aglio sub Respiccio;
Giuseppe “bidello Capitolo Canonici di Parma” (13.4.1727): p. 346 vol.II Allodi, "Cronologia dei vescovi di Parma".
Dove si trovava la pieve di Beduzzo?
Nel libro di Dall’Aglio16 sulle parrocchie della diocesi per Beduzzo si dice che la chiesa pievana originaria «sorgeva presso l’abitato detto Mossale» e che poi, essendo «in condizioni deplorevoli, essa fu rifatta isolata nel 1735, sul cocuzzolo del monte presso il luogo dove sorgeva il castello, e fu benedetta l’11 settembre 1783. Contemporaneamente sorse il campanile, il quale conserva una campana del 1343», quindi dove si trova tuttora.
Nel libro sulla valle di Corniglio di don Dall’Olio17, questi si esprime con minore sicurezza sul sito originario, ponendola comunque nei dintorni di Mossale. Egli scrive però che essa fu spostata non già all’attuale sito, ma un po’ a ovest e tale informazione più precisa trova riscontro nelle risultanze di cui scrivo fra breve. Non è fatto in nessuno di questi due casi accenno a date od epoche, salvo che per la nuova parrocchiale, 1735/1783, quindi i momenti dell’abbandono della antica pieve e del trasferimento alla collina del castello rimangono misteriosi. Una ricerca che voglia identificare la situazione di questa importante istituzione per la storia di Beduzzo e dei suoi abitanti deve analizzare la questione. Ricercando negli archivi parrocchiali parmigiani e nelle memorie locali con l’importante energico apporto di Massimiliano Iattoni, acuto osservatore di origine mossalese, era emerso che durante lavori di costruzione di una casa su un’altura presso Mossale18 sarebbero state trovate delle ossa e resti di tombe, il che coincide con la versione di don Dall’Olio e depone per l’esistenza in quel posto di un cimitero che a propria volta indicherebbe la posizione di un edificio sacro, dentro e intorno al quale in passato era d’uso porre le sepolture, usanza confermata poi per la nostra chiesa da altre fonti che cito di seguito.
Potrebbe essere vero, quindi, che in epoca remota una chiesa fosse stata eretta nei dintorni di Mossale, su una collinetta, e che in seguito, o per le ridotte dimensioni, o per disavventure del terreno, sempre frequenti in zona, avesse dovuto essere abbandonata. Di essa successivamente non si trova traccia come edificio. È possibile quindi che la chiesa sia stata spostata in un tempo remoto, inutile fare ipotesi di date precise. Ci sono stati però due passaggi per giungere alla chiesa attuale: l’indagine mirata su documenti esistenti nell’archivio di Beduzzo19 ha fatto emergere prove dell’ulteriore chiesa, secondo il Dall’Olio, la “chiesuola”, situata all’interno del castello di Beduzzo. Di quest’ultimo edificio feudale parlo altrove, quindi qui va detto solo che una immagine verosimilmente assai fedele20 di esso mostra una chiesetta con campanile a vela posta tra la prima cerchia, a livello inferiore, che racchiude tutto il castello delimitandolo rispetto alla campagna circostante e il “dongione”, cioè la seconda cerchia di mura, che racchiude il mastio o torre principale, sulla sommità del colle.
Che ruolo avrà avuto esattamente tale chiesa? Questo è difficile da dirsi senza ulteriori appigli documentali d’epoca. Nei castelli era usuale vi fosse una cappella anche di discrete dimensioni. Spesso chiese sono documentate dentro le mura. Serviva il solo castello e la famiglia feudale o era anche al servizio della comunità intorno? O anche: In origine serviva i castellani e poi dovette fungere anche da pievana dopo il crollo di quella a Mossale? Questa mi pare la ipotesi al momento più accettabile. Ci si potrebbe però perfino chiedere se quando avvenne lo spostamento della originaria pieve ci fosse o meno già il castello, o almeno una torre sul colle. La risposta affermativa sarebbe sostenuta dal fatto che comunque la chiesa non era sulla cima del colle, ma sul fianco dello stesso. Se il colle fosse stato libero, la chiesa verosimilmente sarebbe stata fatta da subito sulla cima, come avvenuto in infiniti altri casi. Potrebbe essere stata fatta inizialmente fuori dalle mura dell’epoca e poi inglobata nel castello ampliato durante i probabili lavori di restauro sui suoi castelli fatti da metà Quattrocento da Pier Maria Rossi. Che però – dipende sempre da quando avvenne lo spostamento in sostituzione di quella di Mossale – potrebbe aver creato fin dall’inizio dei lavori anche la chiesa, venendo incontro ai suoi contadini. I Rossi si erano fatti promotori di iniziative simili, come per esempio, nel 1471, la badia di Santa Maria della Neve sotto Torrechiara verso il fiume Parma.
Comunque sia nata sul fianco del colle, la pievana doveva in effetti essere lì già a metà Quattrocento: deporrebbe a favore di tale idea il fatto che a tale epoca l’arciprete don Matteo de Danis abitasse nel castello21, quindi che pure la canonica fosse lì. In definitiva le risultanze oggettive che abbiamo ad oggi sono queste: per l’epoca a cui si riferiscono i documenti trovati in archivio, il Seicento, la ipotizzata chiesa di Mossale non c’era evidentemente più, la nuova benedetta nel 1783 non ancora, c’era la chiesa posta – come nell’affresco – tra la prima e la seconda cerchia di mura del castello, ed era la pievana. È l’ipotesi già indicata sopra come la più verosimile. La variante che la chiesa sia apparsa o sia stata rifatta con la (verosimile) ristrutturazione rossiana sarebbe sostenuta dal fatto che non doveva essere troppo piccola: conteneva i fedeli delle borgate e i più in vista avevano i propri banchi e le tombe all’interno. A quale di queste chiese si riferivano le osservazioni di monsignor Castelli durante la visita pastorale del 1578/79, dunque22? Non vi è descritta la posizione della chiesa, purtroppo, solo le sue condizioni generali, nulla di indicativo, salvo che il prelato dice che non vi è canonica dove risieda il prete e ordina di edificarla e recintare il camposanto per impedirvi l’accesso di animali. Se si ipotizza che fosse quella dell’affresco, sembra in contrasto con il fatto che oltre un secolo prima la casa del prete doveva essere vicino alla chiesa (già in funzione di pievana, come ipotesi), poiché così risulta dal documento del 1463. Va però osservato che al 1579 il castello doveva essere in rovina e probabilmente l’arciprete non voleva (o non voleva continuare ad) abitare lì, zona centrale per le borgate, ma isolata e quindi pericolosa per viverci soli. Sono ipotesi che servono solo a farsi un’idea e a riflettere, poiché si sa troppo poco delle condizioni susseguitesi nelle epoche di cui parliamo per estrarne un quadro preciso.
Torniamo alla chiesa dell’affresco, allora, denominando così la pievana sussistente ancora in tale luogo nel Seicento, come ho detto sopra, anche se magari con modifiche che saranno state fatte nel tempo. Com’era fatta? Salvo l’affresco, che dice poco: un campanile a vela in facciata, non abbiamo indicazioni precise, nonostante un disegno di pianta fatto dall’arciprete don Giambattista Uccelli nel 1691, che però ha solo lo scopo di chiarire la partizione interna degli spazi. L’arciprete di Beduzzo fece infatti una descrizione della propria chiesa pievana23, con la posizione della chiesa stessa sulla collina del castello di Beduzzo, entro le mura, con gli altari interni e la posizione dei banchi dei fedeli con indicazione delle rispettive famiglie. Al testo è annesso il disegno con la strutturazione interna approssimativa degli spazi della chiesa. Egli cita due cappelle, ma poi descrive tre altari: a sinistra dell’altare maggiore, dedicato a san Prospero, c’è la cappella della beata Vergine Maria e queste sarebbero le due cappelle. Un terzo altare è però a destra dell’altar maggiore, ed è dedicato a san Giovanni Battista. Forse due cappelle (absidi?) erano originarie, e poi la chiesa fu allargata di una nuova navata? Sono dettagli.
Così descrive esplicitamente invece la posizione dell’edificio il nostro prete: «La chiesa di Beduzzo suddetta si ritrova posta dentro il primo circuito di muraglia, che cinge la torre grande, segno del castello; il secondo cinto di muraglia cinge la torre grande commune della contea (...) La detta chiesa pieve è voltata alquanto verso levante et borrea con due cappelle, la prima del titolare san Prospero, cioè l’altare maggiore. Dalla parte del Vangelo si ritrova la capella della beata Vergine del Carmine...». La chiesa è quindi, come d’uso, orientata con l’altare maggiore verso est, conformemente all’affresco e a differenza di quella attuale. Segue l’elenco dei banchi delle famiglie, che certo non esauriscono quelle presenti a Beduzzo e si deve dedurre che quindi solo le maggiori avessero il privilegio del banco, dovendo gli altri ammassarsi in piedi, probabilmente, se non fuori.
Viene descritta la posizione interna, più o meno vicina agli altari e sul lato migliore: «banchi in parte più degna come (m.°) intendo: primo il signore Pietro Giovanni Botti, più avanti l’altare di detta capella. Il 2° M. Francesco Bertini. Il 3° M. Camillo del Papa. Il 4° M. Marco Bertolani. Il 5° M. Pietro Pacchiani. Il 6° M. Giovanni et Pietro fratelli Orlandini. Il 7° M. Domenico et Thadeo Orlandini. L’8° M. (Giacomo) (con) fratelli de Marsigli, ultimo et inferiore di tutti da detta parte etc. Dalla parte minore, cioè dalla parte dell’Epistola, si ritrova l’altare di san Giovanni Battista e da detta parte ne segue gli seguenti banchi o stalli, come vogliamo dire. Primo M. Pietro Raschi. Il 2° più al basso, intermediando l’uscio o la porta picciola, ne segue M. Francesco e Lorenzo Ghillani. Il 3° M. Francesco Iattoni, col suo banco quale e ancora d’impedimento al batesimo e questo suddetto descrivo in parola e poi ne formo rozzamente la pianta». Situazione analoga a quella descritta in un inventario di poco precedente24, del 26 aprile 1691, con tutti i beni mobili della chiesa.
Anche questo documento conferma la descrizione della chiesa, che sembrerebbe avere tre (absidi?) cappelle, identiche a quanto detto prima e sarebbe posizionata all’interno della prima cerchia muraria, già in rovina, del castello di Beduzzo, con il cimitero, e la seconda cerchia della torre principale del castello. Attualmente tale posizione si troverebbe sotto la casa della gioventù di don Costella, che sorge sul sito della demolita torre, ma il terreno in tale area è franato e sono scomparse le tracce anche della prima cerchia muraria: «La detta chiesa di Beduzzo archipresbiterale sotto il titolo di San Prospero è posta dentro il (circho) di muralie prime della torre col suo cimiterio et anco vi è fatto (horto); ma ogni cosa [è] dirupata per non habitarvi alcuno (a che) [c..] oltre le muralie, strada, campi di detta chiesa da due, le muralie della torre comune o come sia ecc., con tre capelle, la prima maggiore di san Prospero, antichissima, e (..) gli mobili pertinenti a detta capella che saranno gli sequenti primo la croce con lastre d’argento e crocifisso dentro però il legno et il piede antico item un tabernacolo antico, foderato di seta dove sta il Santissimo item la piside che serve per communicare et esporre il Santissimo con la sua (capotta) a vetro indorata item quatro candeglieri di ottone et duoi angeli indorati antichi et (barchetta?) doppia indorata e dipinta (...)». La situazione in questo periodo appare quindi abbastanza chiara. Dalle fonti dei due autori citati all’inizio sembrerebbe che la chiesa “nuova”, quella del Settecento, sia stata iniziata nel 1735 e benedetta nel 1783.
Certo le fasi di costruzione sono complesse e lunghe, specialmente se le spese sono sostenute dai parrocchiani – come risulta in questo caso – ed elevate e comunque si aggiungono all’ordinario. La durata non deve quindi sembrarci frutto di errore, ma è invece forse il tempo necessario tra il progetto, la posa delle prime pietre e il completamento. Nel frattempo doveva ovviamente essere rimasta in opera la chiesa vecchia, quella cioè testé descritta, che però cominciava essa stessa a rovinare per le solite qualità di scarsa stabilità dei terreni della zona, tanto che una cappella, quella di san Giovanni aveva verosimilmente dovuto essere puntellata mediante un nuovo muro che però l’aveva di fatto lasciata fuori dall’ambiente interno dell’edificio sacro. Così infatti descrive la situazione il parroco, don Paolo Madureri, in un documento del 176225: «Subito entrato entro la porta maggiore, a mandestra vi è la pietra fitta nel muro di marmo dall’aqua santa Più avanti vi è un confessionario con sue serande e carte de casi riservati nella diocesi e (del/dal) pontefice Di sopravia v’è un stallo di raggione dell’eredi di Francesco Iattoni e Antonio Iattoni Più avanti un altro stallo di ragione di Giacomo Ghillani con sotto la sua sepoltura di nuovo espurgata Sopra di questo vi è la portella quale è la prima sempre aprirsi nell’entrar in chiesa con suo andito per detta entrata A man dritta di quella v’è la pietra fitta nel muro di masigno per l’aquasanta Più avanti v’è un stallo doppio comune a due case ciò è a Giovanni Monticelli e al signor (Alfice) Raschii con a man stanca la di lor sepoltura espurgata di nuovo e ben turata, anche questa comune alle due sodette case Più avanti v’è una sepoltura espurgata e ben turata di raggione di tre case divise Coppini, come anche le raggioni d’una casa estinta de Tomasi, le quali raggioni sono pretese da signori Botti Sopra di quella v’è un stallo dopio di raggione della familia di don Paolo Madureri presentaneo arciprete Rimpetto questa sepoltura e questo stallo v’è una capella dirocante, e sospesa sì di materiale come di suppelletili e già taliata fuori con muro con l’asenso de superiori Dall’altra parte, a mano sinistra, v’è il battesimo con sua capellina, piedestallo entro il castelletto il vaso di marmo per l’aqua battesimale e di sopravia il sito da tenere una scatola con suoi vasetini d’argento marcati con le sue lettere e bonbace chiuso con chiave e suo sacrario con il cancello che chiude la detta capellina. Doppo quello un stallo di raggione di Giovanni Marsilii Un altro s[t]allo di raggione di Giovanni Orlandini (...)» Prosegue poi l’ordine dei banchi che rimane sostanzialmente stabile in relazione a settant’anni prima. Le famiglie titolari hanno in chiesa le loro sepolture sotto il pavimento (“espurgate e ben turate” appunto), in corrispondenza ai banchi rispettivi. Da notare la presenza tra i banchi a sinistra dell’entrata, circa a metà, del banco semplice di ragione delle due case Pachiani, cioè Giovannantonio e Carlo, la famiglia era quindi divisa in due rami coi propri capifamiglia.
Nella descrizione della chiesa si accenna alla cappella di destra, non nominandone il titolare, perché probabilmente in rovina e pertanto esclusa dall’ambiente sacro da un muro probabilmente necessario al rinforzo della struttura: deve trattarsi della cappella di san Giovanni, citata nell’altro documento. L’elenco del 1762 era in vista della visita del vescovo Pettorelli Lalatta di Parma, lo stesso che, una ventina di anni dopo avrebbe concesso licenza di demolire la vecchia parrocchiale di Beduzzo, dopo che fosse stata benedetta e consacrata la nuova. Quest’ultima risultava essere stata eretta, a spese comuni della gente di Beduzzo, in un luogo diverso (la spianata del monte del castello, chiaramente), poiché dove era la prima il terreno sarebbe stato rovinoso e non permetteva un restauro sullo stesso sito della vecchia («quia posita super fundo praerupto et non solido ruinam minabatur nec ullo modo in loco eodem reaedificari poterat»). Con entrambe le chiese attive sarebbe stata fatta la traslazione dei titoli e delle spoglie delle tombe. Il vescovo, nel documento di autorizzazione26, oltre a disporre su tali trasferimenti, impose che anche il vecchio cimitero fosse trasferito alla nuova chiesa e che il pietrame di risulta della demolizione della chiesa non fosse poi reimpiegato per usi bassi: «quod illius cementa non convertantur in usus sordidos».
Del campanile non si parla, un’ipotesi potrebbe essere che in qualche tempo, dopo la rovina del castello, per esempio da fine Cinquecento, una qualche struttura sulla sommità del colle fosse adattata a torre campanaria, dato che dall’alto il suono avrebbe raggiunto meglio le borgate. O forse poteva essere stato fatto ex novo. Di esso si parla abbastanza tardi nelle fonti, tra le quali abbiamo delle notizie per le epoche più recenti nella rete, in particolare al sito ufficiale della Regione ecclesiastica Emilia Romagna “Le chiese delle diocesi italiane”27. Da qui si legge che vi sia stata la “demolizione dell’intero bene”, cioè la chiesa – ma non si dice quale – negli anni 1781 – 1783 e ciò corrisponde («Visti i dissesti statici dell'edificio a causa del terreno di fondazione non solido, si decise di demolire la chiesa primitiva e di costruirne una nuova probabilmente sulle fondamenta preesistenti». Tale ultima ipotesi però non è corretta). Negli anni 1783 - 1789 ebbe luogo il parziale rifacimento del campanile, per motivi di staticità. In teoria il campanile, se non preesistente come ipotizzato da me sopra, doveva essere stato fatto assieme alla nuova chiesa. nel 1869 il campanile necessitò di altri lavori di restauro e sopraelevazione, dato che era stato colpito da un fulmine. Prospetto della chiesa con i banchi 1691 e 1762- Nel 1893 - 1894 la chiesa viene dichiarata pericolante. Sono inserite le catene longitudinali a livello del cornicione interno. Nel 1954 l'intera aula è decorata con stilemi classicheggianti, mentre sul tetto sono collocate tegole a copertura in sostituzione delle piane. Nel 1988 hanno luogo lavori di consolidamento a seguito dei danni del sisma del 1983. In particolare un cordolo sommitale in cemento armato sulle pareti longitudinali a livello della copertura e una palificazione in cemento armato all'esterno del corpo absidale. Vennero risarcite le lesioni nelle volte. Da ultimo nel 2011, in seguito ai danni del sisma del 2008, la Regione Emilia-Romagna ha finanziato i lavori di ripristino e messa in sicurezza dell'edificio. In particolare sono state risarcite le lesioni nella volta del presbiterio, nelle pareti perimetrali e nelle voltine di apertura di queste ultime. E' stato, inoltre, realizzato un nuovo muro di contenimento in cemento armato del sagrato sul lato verso il cimitero nuovo, purtroppo demolendo il muro preesistente, che poteva perfino essere l’avanzo della cerchia del castello. In occasione di questi lavori è stato interessante guardare dietro i vecchi muri di contenimento, demoliti, dove si notavano, in mezzo alla massa di sassi e pietre bene o male inseriti a riempimento, delle forme che potevano sembrare angoli di muri, con conci ben squadrati, forse avanzi del primitivo castello, antecedente magari a quello di epoca rossiana. Ma ora è tutto cementato.
Facendo un riepilogo dopo questi complessi giri di ipotesi e testimonianze si può dire che ci fosse, almeno dal Duecento, una pieve di Beduzzo da cui dipendevano diverse chiese e paesi dei dintorni28: Petrignacola, Sauna, Vaccarezza (corrisponde a Reno), Pugnetolo, Rivalba, Signatico, Vestola. Probabilmente tale chiesa, di presumibili forme romaniche, era posizionata su un’altura nei pressi di Mossale, forse all’epoca borgata più importante delle altre vicine, magari per qualche funzione che vi era svolta (Mossale da mons salis?). Può darsi che ricevesse un campanile a vela con una campana fusa nel 1343, che tuttora si conserva nell’attuale campanile del Settecento. In un momento tra il Duecento e il Quattrocento, pare che tale edificio venisse abbandonato per qualche motivo, portando la chiesa alla collina del castello, qualche chilometro distante. Non si sa se colà vi fosse già un castello o qualche struttura: forse sì, dato che la chiesa non occupò la sommità ma un fianco del colle. Forse venne perfino costruita assieme al castello o meglio a una sua ristrutturazione, forse invece venne poi inglobata in questo più tardi, nel Quattrocento, data in cui appare nell’affresco di Torrechiara all’interno della prima cerchia di mura esterne. Le dimensioni non si sanno e dipendono da ipotesi sulle circostanze appena accennate. Forse in relazione alla precedente era più piccola, da cui il nome Cesuola della zona dove sorgeva, che si è conservato fino a oggi. La chiesa è usata durante tutto il Seicento e buona parte del Settecento, in attesa del completamento della nuova, finanziata dagli abitanti e stavolta costruita sulla sommità del colle, ormai libera dal castello. Sul fianco del colle il terreno non era stabile, una cappella era pericolante e nei primi decenni del Settecento si pensò pertanto di rifare la pieve ingrandita in posizione migliore. Tra il 1781 e gli anni successivi si passano le consegne dall’una all’altra e la più vecchia viene infine demolita, le pietre forse usate per sistemare il camposanto, anch’esso spostato più sopra.
Nel 1822, Antonio Pacchiani del fu Giuseppe, di Beduzzo, inviava una supplica al vescovo di Parma per poter tenere una seggiola per sè all’interno della parrocchiale di Beduzzo, in quanto zoppo29. Nel documento, che riepiloga la richiesta e riporta il decreto vescovile di concessione, si dà ad Antonio tale facoltà, a condizione che vi sia anche l’assenso dell’arciprete, per tutta la vita del fedele, imponendo che egli non ne possa però disporre altrimenti, pena la nullità della concessione stessa, la quale sarà da depositare in copia autentica alla parrocchiale. Quindi non era possibile evidentemente disporre di sedie – e tantomeno, quindi, banchi – all’interno della chiesa se non con l’assenso di tutte le gerarchie ecclesiastiche. Probabilmente si doveva pagare qualcosa per tale possibilità, specialmente i banchi, che nei secoli precedenti evidentemente non erano alla portata di tutti. Nel corso del Sei e Settecento, solo 11 famiglie di Beduzzo avevano un banco riservato in chiesa, e ancor meno le proprie sepolture, che dovevano rappresentare un onore e prestigio notevole, nell’ambito sociale locale. I banchi mantengono molta stabilità nel tempo come collocazione: dal 1691 al 1762 la variazione riguarda la famiglia del parroco Madureri, che si prende la posizione davanti, a destra, sorpassando i Raschi, ai quali si aggiungono, ma probabilmente per collegamenti familiari, i Monticelli. Stranamente alle sepolture delle famiglie Coppini non corrispondono banchi in chiesa.
Note
1) Uno dei possibili motivi del fatto che il sac. don Remigio Pacchiani si occupasse di estreme unzioni potrebbe risiedere nel fatto che tale compito pare fosse riservato per norma canonica ai preti dei castelli e delle ville, scelti dagli arcipreti pievani (Francesco Magani, "Ordinamento canonico della diocesi di Parma", Parma, 1910, vol. I, pag. 50).
2) Cfr. Maria Cristina Basteri, “La via Francigena nel territorio parmense”, Parma, 1996, pag. 82 e segg.
3) Così riporta Italo Dall’ Aglio, “La diocesi di Parma”, Parma, 1966, pag. 806 e ss.; conferma se ne ha da Antonio Schiavi, “La diocesi di Parma”, Parma, 1940, pag. 53 e passim che ha trascritto ed edito manoscritti dei secoli XV e XVI.
4) Magani, cit., vol. I, pag. 349.
5) Tuttavia meno attendibile: le date 1520 e 1564 si riferiscono invece a documentazione edita da Antonio Schiavi, “La diocesi di Parma”, Parma, 1940. Cfr. inoltre Archivio di Stato di Parma, fondo “Notarile”, Lazzaro Capretti, filza 1005, dove si trova un atto del 1524 dove egli è già rettore di tale chiesa.
6) Cfr. infatti Antonio Schiavi, op. cit., pag. 193.
7) Appare infatti un Giovanni Battista prete sia in una registrazione di matrimonio del 1651 sia fra i testi di un atto notarile del Comelli, redatto nella canonica di Reno nel maggio 1631: Archivio di Stato di Parma, fondo “Notarile - Comelli” atti del 27 e 30 maggio 1631; per la registrazione parrocchiale, v. Archivio Diocesano di Parma, registri parrocchiali di Beduzzo.
8) Cfr. Antonio Schiavi, op. cit., pag. 436.
9) Francesco Magani, "Ordinamento canonico della diocesi di Parma", Parma, 1910, vol. I, 341 e ss.; il beneficio è citato a pag. 349.
10) Cfr. Antonio Schiavi, op. cit., pag. 67 e ss.
11) Cfr. Antonio Schiavi, op. cit., pag. 104. Si tratta di un manoscritto redatto nel 1564 da Cristoforo dalla Torre, notaio e cancelliere vescovile; il riferimento a Bannone è a pag. 186.
12) Archivio di Stato di Parma, fondo “Notarile - Benefici ecclesiastici”, filza 14, lett. B, carta 52
13) Archivio Storico Diocesano Vescovile di Parma, Beduzzo, libri battesimi/morti 1651-1778, alle date riportate all’inizio di questo capitolo].
14) Cfr. anche Giovanni Cherubini, “L’Italia rurale del basso medioevo”, Roma-Bari, 1984, pag. 217 e ss.
15) Così il Dall’Aglio nella sua “La diocesi di Parma” già citata.
16)Dall’Aglio, Italo, “La diocesi di Parma: appunti di storia civile e religiosa sulle 311 parrocchie della Diocesi”, Parma, Scuola tipografica benedettina, 1966, vol. I, pag. 243 e segg.
17)Dall’Olio, Enrico: “Corniglio e la sua valle”, Parma, Scuola Tipografica Benedettina, 1960, pag. 317: «l’antica chiesa di Beduzzo sembra fosse posta presso l’abitato detto “Mossale”, e di ciò fanno fede diverse tombe, resti di cadaveri che ivi si sono trovati lavorando profondamente il terreno. Presumibilmente la frana l’ha rovinata ed i parrocchiani, non dandosela per vinta, ne costruirono una più piccola ad ovest, a circa duecento metri dall’attuale, nella località che ancor oggi si chiama “chiesuola”».
18) La notizia riprende racconti riportati in famiglia e tra abitanti di Mossale, relativi al ritrovamento, da datare probabilmente ai primi anni Ottanta del XX secolo. Fonte: Massimiliano Iattoni.
19) Ricerca effettuata da Massimiliano Iattoni nel 2018: le note sulla parrocchia di Beduzzo si trovano nella cassetta 19 e 19 bis.....
20) Da un confronto tra l’immagine del castello di Torrechiara e la realtà attuale, sembra che l’artista abbia riprodotto in modo quasi fotografico l’edificio. Nonostante la vicinanza di Torrechiara possa far anche pensare che quello sia stato per forza riprodotto fedelmente, mentre per i restanti castelli dei Rossi ci si possa essere basati sulla fantasia, la coerenza interna dell’operazione rossiana di testimonianza dei propri possessi e i dettagli dei singoli manieri riprodotti lascia pensare che l’artista si sia recato sul posto e abbia avuto occasione di vederli direttamente, facendone evidentemente degli schizzi. L’ipotesi del testo è quindi di verosimiglianza del dipinto con la realtà della metà del XV secolo anche per il caso del castello di Beduzzo. Anche le rimanenze attuali non sembrano in contrasto con questa ipotesi.
21) Cfr. il documento del 1463 febbraio 13, Beduzzo, in Parma, Archivio di Stato, notarile, filza 267 (Baldassarre Banzi). Riferimento interno: rep. “02BELarionus1463”.
22) Cfr. Dall’Olio, Enrico (a cura di): “Visitatio civitatis Parmae 1578-79 rev.mi Joannis Baptistae Castelli”, Parma, Grafiche STEP Editrice, 2000, alla voce della pieve di Beduzzo
23) Documento del 1691, ottobre 16, (Beduzzo), conservato in Parma, Archivio Vescovile, cassetta 19 - Beduzzo. (ScaffaleT/1-7 sezione parrocchie - da note ricerca Iattoni). Rif. interni: rep.: Parma, Archivio Vescovile, cassetta 19 - Beduzzo. (ScaffaleT/1-7 sezione parrocchie - da ric. Iattoni). Riferimento interno: rep.:
FOTO\FotoStoriaBeduzzo\Castel\ChieseBeduzzo\cassa 19 AVPr da Iattoni\descrizione pieve 1691 banchi_276ChiesaBed_AVescovilePr_capsa19 Beduzzo_ da Jat_1691 Foto: idem, IMG_8337 e seguenti.
24) Documento del 1691, aprile 26, (Beduzzo), in Parma, Archivio Vescovile, cassetta 19 - Beduzzo. (ScaffaleT/1-7 sezione parrocchie - da ric. Iattoni) o forse anche 19bis. Referenze interne: Rep. e Foto:
FOTO\FotoASParma\FotoStoriaBeduzzo/Castel/Castel2018/ChieseBeduzzo/cassa 19 AVPr da Iattoni/descrizione sito chiesa e inventario beni1691.
25) Documento del 1762, Beduzzo, in Parma, Archivio Vescovile, cassetta 19 - Beduzzo. (ScaffaleT/1-7 sezione parrocchie - da ric. Iattoni) o forse 19bis. Riferimenti interni: Rep. e Foto: FOTO\FotoStoriaBeduzzo\Castel\ChieseBeduzzo\cassa 19 AVPr da Iattoni\descrizione sito chiesa e inventario beni1762
26) Documento del 1781, aprile 5, Parma, vescovo di Parma, Francesco Pettorelli Lalatta. In Parma, Archivio Vescovile, cassetta 19 - Beduzzo. (ScaffaleT/1-7 sezione parrocchie - da ric. Iattoni). Riferimenti interni: Rep. e Foto:
FOTO\FotoASParma\FotoStoriaBeduzzo/Castel/Castel2018/ChieseBeduzzo/cassa 19 AVPr da Iattoni/1781
27) L’indirizzo del sito è: www.chieseitaliane.chiesacattolica.it/chieseitaliane/AccessoEsterno.do, visitato in data 01.12.2018. Le informazioni sono riportate fedelmente, come da condizioni d’uso del sito stesso, solo con aggiunte alla luce delle risultanze oggettive dei documenti di cui si parla qui.
28) Dall’Aglio, Italo, “La diocesi di Parma: appunti di storia civile e religiosa sulle 311 parrocchie della Diocesi”, Parma, Scuola tipografica benedettina, 1966, vol. I, pag. 245 e così diverse altre fonti citate infra (Schiavi, DallOlio, ecc.).
29) Documento del 1822, ottobre 28, Parma, in Parma, Archivio Vescovile, cassetta 19 - Beduzzo (ScaffaleT/1-7 sezione parrocchie - da ric. Iattoni). Riferimenti interni: Rep. e Foto:
FOTO\FotoASParma\FotoStoriaBeduzzo/Castel/Castel2018/ChieseBeduzzo/cassa 19 AVPr da Iattoni/sediaPacchiani/richiesta sedia 1822 Pac da iat