Gli estimi
Per poter capire, almeno a grandi linee, come funzionava la fiscalità del tardo medioevo ed i meccanismi che hanno avuto rilevanza per questa ricerca, vanno premesse alcune sintetiche informazioni su estimi e catasti, che costituiscono un'importante fonte storiografica, benchè siano spesso disomogenei e richiedano una precisa conoscenza delle loro regole interne, stabilite in sede di approvazione del prelievo che costituisce la finalità ultima di questi documenti.
Per quanto attiene all'aspetto strettamente fiscale, sembra di non poter mantenere la classica distinzione tra imposizione diretta e indiretta: in genere nella prima rientra la tassazione diretta della capacità contributiva della famiglia, sulla base del patrimonio e del reddito, nella seconda quella sui beni consumati. In quest’ultima quindi ricadrebbe apparentemente anche la famosa tassazione del sale, in base alla quale ogni abitante del territorio – di età generalmente compresa tra i 14 ed i 70 anni – doveva ritirare una certa quantità di sale per la quale pagava appunto la tassa. Ma proprio per questo obbligo che era proporzionato al numero dei componenti delle famiglie, ma anche al loro patrimonio tassabile la classificazione come oggi la intendiamo stenta a rappresentare la realtà medievale1.
Il sale era indispensabile sia direttamente per l’alimentazione che per la conservazione del cibo, da questo nasceva l’importanza delle saline nel periodo in questione e la tassazione di un bene che era quindi – già all’epoca – monopolio pubblico. Proprio al fine di individuare tutti i consumatori e quindi la base per il gettito della tassa veniva fatta la rilevazione o censimento dei “fuochi”, vale a dire dei nuclei familiari, come avvenne anche nella diocesi di Parma nel 1415, nel 1462 ed anche in seguito.
Carattere più deciso di imposizione diretta avevano gli "estimi" dei beni, la cui struttura poteva essere assai articolata, specialmente per quanto riguarda i redditi degli abitanti delle città e le distinzioni per quanto concerne i beni delle famiglie mezzadrili, considerando la diversa appartenenza dei beni e dei frutti in quell’ipotesi.
Nel caso di Beduzzo, ma anche di tutto il contado parmense dal Cinquecento al Seicento e oltre, si trova documentazione degli estimi cosiddetti rurali, con riferimento al fatto che si censivano i beni degli abitanti del contado – i contadini, appunto – che erano innanzitutto beni immobili: fondi agricoli e case, ma anche animali. Ad ogni tipologia di coltura o di terreno, misurato in biolche2, veniva attribuito un valore d’estimo su cui si fondava la tassazione, una volta moltiplicato per il numero delle biolche totali di terra posseduta e adibita alla specifica coltivazione.
Gli estimi rintracciati sono stati redatti con criterio unitario nello stesso periodo dagli stimatori, funzionari di nomina ducale che percorrevano i territori loro assegnati per le rilevazioni con una precisa tabella di lavoro da seguire di giorno in giorno, un apposito percorso, in genere dettagliatamente illustrato nelle prime pagine dei libri relativi.
Un censimento di questo tipo di cui rimane copiosa documentazione e, a quanto ne so, il più antico del genere conservato nell' archivio di Stato di Parma, risale al 1562 per tutte le località del contado parmense: la documentazione conservata è omogenea, un libro datato a tale anno con le rilevazioni giornaliere, diverse vacchette tra cui una di riepilogo con la tassazione, contenente nella parte finale anche gli animali posseduti e suddivisa per categorie: contadini, feudatari, istituzioni ecclesiastiche; poi ancora carte sciolte, lettere, dichiarazioni varie a fini di esenzione; un altro libro, di qualche anno più tardo. Tale documentazione si trova archiviata in modo del tutto simile per ogni località del Parmense, in contenitori di cartone a decoro “marmorizzato”.
Altre rilevazioni, dal carattere meno strutturato ed omogeneo, almeno a quanto si può percepire, risalgono ai decenni seguenti e riguardano anche il possesso di animali (“bestie bovine e pecorine”), ancora al fine dell’applicazione della tassa sul sale.
Il meccanismo del prelievo fiscale pare avere, all’epoca, alcuni punti fermi fondamentali, in contrasto netto con la situazione di oggi: non si partiva infatti dal reddito del singolo, in base a criteri di commisurazione all’effettiva ricchezza, e tantomeno mediante un’autoliquidazione. In realtà il punto di partenza era all’estremo opposto: si fissava dall’alto l’entità del gettito che il territorio doveva dare, sulla base delle esigenze della signoria, e questa somma veniva attribuita globalmente alle varie circoscrizioni sottoposte alla tassa, nel nostro caso i “comuni”, le “ville” i paesi, insomma, del contado. A quanto pare la città madre, cioè i suoi abitanti, godevano di un’esenzione generalizzata, forse basata sul diverso tipo di economia: il prelievo in città avrebbe potuto basarsi infatti essenzialmente su imposizioni indirette. Pare comunque che l’abitante di città fosse come tale esente dalla tassazione rurale e questo anche se avesse posseduto beni fondiari in campagna, per cui, ad esempio, un mezzadro veniva tassato per i propri beni, mentre la quota del padrone cittadino rimaneva a questo imputata e quindi, a quanto sembra, esente dal prelievo rurale.
A parte il caso dell’esenzione cittadina, anche nel contado vi erano numerosi casi di immunità dal fisco: come detto per i proprietari di città, così avveniva anche per i beni delle chiese e degli ecclesiastici – pare anche per quelli propri – e ancora specialmente nei confronti dei feudatari, che nella nostra zona mantennero un forte potere e autonomia ben oltre la fine del medio evo. Pare inoltre che anche i beni a livello da chiese non andassero tassati, a giudicare dalle lettere che si ritrovano e che dichiaravano che tali e talaltri beni erano a livello dalla chiesa tale, lettere e documenti che, lì raccolti, non paiono avere altrimenti senso se non per poter giustificare qualche diritto ad esenzioni3.
Sulla massa dei contadini non esenti veniva quindi essenzialmente a pesare la somma da prelevare, attribuita ai vari comuni. Spettava al “mistrale”, una sorta di responsabile amministrativo del paesello, suddividere la quota tra gli abitanti, in base ai loro possessi e ricchezze. Tirate le somme, quindi, la popolazione del contado sopportava il carico fiscale diretto e con notevole divario da situazione a situazione. Per Beduzzo, nel 15814 sono testimoniati due consoli (Genovese Marsigli e Bernardo Miodini) ed un mistrale (Pietro Raschi). A prima vista sembra quindi che in tale località le cariche fossero costituite dai consoli in numero di due, come in moltissimi altri comuni rurali dell’Appennino5. Il mistrale, che altrove sembra avere avuto funzioni analoghe a quelle dei consoli, pare invece qui essere un funzionario minore (almeno in base alla fonte citata), tra i compiti del quale rientrava anche la riscossione delle colte, delle varie tasse in base agli estimi. Tale ordinamento sopravvive ancora nel tardo XVII secolo6, quando il mistrale risulta Giacomo Marsigli e consoli Pietro Lazzaro Pegolotti e Giovanni Orlandini.
Come emerge dalla documentazione superstite relativa alla tassa sul sale del 1415 nel territorio parmense, edita dalle Deputazioni di Storia Patria per le antiche province modenesi e per le province parmensi7, certe località non appaiono tra quelle sottoposte all’estimo, pur non essendo affatto trascurabili, ad altre ancora risultano attribuite le somme totali da prelevare, ma queste mancano della necessaria suddivisione tra i fuochi: si tratta di un ennesimo caso di esenzioni, che riguarda stavolta i paesi di diretto dominio feudale dei grandi signori dell’Appennino: i Rossi, i Sanvitale, i Pallavicino, ecc.
La potenza di questi rendeva concretamente problematico effettuare il prelievo delle colte, cosicché probabilmente l'entrata fiscale non avveniva, se non forse a favore proprio. Andrebbe approfondito a questo proposito il rapporto che legava queste popolazioni, oramai di liberi, ai signori storici di quei luoghi. Comunque sia la località di Beduzzo, ma anche le altre in cui nel Quattrocento paiono attestati membri della famiglia Pacchiani, come Traversetolo, non sono censite, rientrando nella zona di diretta influenza di una dinastia feudale: in tale modo, però, sono persi dati preziosissimi per la ricerca.
Oltre a queste informazioni, gli estimi meglio corredati danno notizie sui possedimenti, sui contratti agrari, sui tipi di abitazioni e inoltre sulla struttura familiare... ciò però tanto più quanto più l’indagine è effettuata comparativamente e possibilmente potendo confrontare stessi tipi di estimi della stessa zona nel succedersi degli anni, cosa in realtà impossibile, se non occasionalmente. Si può comunque sapere se i nostri antenati vivevano in case precarie o in solidi edifici di mura con tetti di tegole o di paglia, per esempio; o ancora se tutti i membri della famiglia – cioè del fuoco di riferimento per quell’estimo – abitassero in un’unica casa, essendo questa segnata tra i beni, poi il numero dei componenti del nucleo, con i nomi e le età dei censiti. Questi ultimi dati non erano però sempre presenti, purtroppo, e non si ritrovano nel libro generale superstite dell’estimo del 1462, il più antico in cui pare di poter trovare il cognome di famiglia.
Il nucleo viene indicato con riferimento ad un capofamiglia preciso, cui viene imputato il prelievo, mentre anche i figli maschi maggiorenni che convivono non assumono rilevanza, almeno fino alla morte del padre o comunque del capofamiglia: si nota infatti, nel caso di una linea familiare residente per più anni nella stessa località durante estimi successivi, il succedersi di un capofamiglia diverso, che in qualche caso è accertato con sicurezza essere il figlio del precedente, a tale data scomparso. Purtroppo nei casi specifici esaminati, quando l’estimo restituisce i nomi e le età, il nucleo non risulta avere figli maggiorenni conviventi, mentre nei casi in cui il nucleo appare composto di molte persone – 7 od 8 – non viene dato né nome né età di questi, per cui è difficile e azzardato trarre ulteriori conclusioni.
Un problema legato indirettamente agli estimi è quello delle circoscrizioni territoriali di riferimento. Ogni estimo di un comune rurale per necessità doveva riguardare un territorio univoco e delimitato, identificabile con quello del comune stesso. E’ possibile che venisse seguito il criterio della circoscrizione ecclesiastica per pievi, ma non è purtroppo possibile formulare alcuna ipotesi più concreta.
La chiesa di Reno, almeno fino agli anni ’60 del Cinquecento, era sottoposta alla pieve di Beduzzo, come risulta dai lavori dei più volte citati Dall’Aglio e Schiavi, però l’estimo del sale di Beduzzo del 1462, quindi di un’epoca in cui Reno apparteneva certamente alla pieve di tale località, non pare comprendere nomi che poi sarebbero stati tipici di Reno, quindi in sostanza non pare che - almeno in questo caso particolare - l'estimo segua la circoscrizione pievana. Anche in rilevazioni più tarde il paese di Reno appare comunque in forma autonoma e così anche la località di Petrignacola, altra chiesa sottoposta alla pieve di Beduzzo, ma dalla stessa parte del torrente: il problema rimane quindi aperto. La possibilità di cambi di circoscrizione da parte delle autorità ecclesiastiche può aver complicato ulteriormente la cosa.
Note
1) Cfr. David Herlihy – Christiane Klapisch – Zuber, “I Toscani e le loro famiglie. Uno studio sul catasto fiorentino del 1427”, Bologna, 1988, cap. I, pag. 26 e segg.
2) Biolca, lat. “bubulca”, originariamente il terreno lavorabile con un bue in una giornata. Misurava 6 staia (ari 30,814); 1 staio = 12 tavole (ari 5,136); 1 tavola = 4 pertiche quadre (ari 0,428).
3) livello, dal latino libellum, libretto, in riferimento a scritti che in origine si scambiavano le parti di questo contratto, può considerarsi, semplificando, una sorta di affitto di terreni, di solito di proprietà di una chiesa, a privati. L'esenzione dovrebbe proprio derivare dal fatto che sono beni di proprietà della Chiesa, seppur affittati
4) Archivio di Stato di Parma, fondo "Saline", busta 24, Beduzzo: “censimento delle bestie bovine...”.
5) Cfr. Albano Sorbelli, “Il comune rurale dell’Appennino emiliano nei secoli XIV e XV”, Bologna, 1910.
6) Archivio di Stato di Parma, fondo “Comune”, serie XVII busta 2014, “denunzie delle terre e del bestiame”, anno 1690; cfr. altrove nel sito.
7) Marisa Zanzucchi Castelli e Giuseppe Trenti (curatori), “L’estimo del sale di Parma del 1415”, Modena – Parma, 1999.