Il mistero delle pietre "parlanti" di Reno
Mentre aspettavo di poter parlare col mio falegname di fiducia, Corrado Pacchiani, con bottega a Reno superiore, vicino alla chiesa parrocchiale, benedetta nel 17731, per ingannare il tempo ne ho visitato l’esterno (era chiusa) e ho scoperto, sul lato nord, una pietra in arenaria color sabbia, di forma perfettamente rettangolare, con l’angolo inferiore destro danneggiato, che rende impossibile leggere l’ultima lettera della terza riga e l’ultima cifra del millesimo della quarta ed ultima. Infatti questa pietra è incisa e ci “parla” con la sua iscrizione: “D*I* P*ACHI ANUS*
H*O*F*F* (qui si pone la croce nel tipo dell’ordine di Malta) *C*D*R*
*D*I* IHS S*(P)*[...]
*D*XXII*APR*159[…]
La quale scritta ad una prima decifratura potrebbe essere “dominus Iulianus Pachianus hoc opus fecit fieri (...) IHS (...) die XXII aprilis 159..”. Alcune delle sigle o iniziali non sono (da me) risolvibili. Avrei l’impressione che la prima riga sia stata aggiunta alla fine del lavoro del lapicida, in quanto appare più piccola e nessun margine la separa dall’orlo superiore della pietra, come invece avviene nell’inferiore e come suggerirebbe un buon lavoro.
Tutto ciò depone per una scrittura successiva anche se forse nello stesso periodo di tempo. Potrebbe perfino darsi che la seconda riga fosse un tempo la prima e fosse da risolversi così: “D I IHS D P” nel senso di ... fecit fieri (...) Dominus Iulianus (IHS) De Pachianis. Ritenuto magari poco comprensibile venne forse integrato col nome per intero, in quella che è divenuta la prima riga. Chissà...
Il dedicatore Iulianus Pachianus effettivamente nel 159... era rettore e quindi parroco a Reno (1578, 1604) ed è più che plausibile che avesse fatto eseguire lui delle opere sulla chiesa del posto.
Ma come mai la chiesa in cui è posta la pietra è di fine Settecento, mentre la data che questa riporta è di quasi due secoli prima? Una possibilità sarebbe che la chiesa attuale, che ad una prima vista pare sia stata in qualche data ampliata nella zona absidale, fosse in origine un semplice oratorio, ma già esistente come chiesa. Ma le fonti documentarie non ne parlano: l’unico oratorio esistente era andato in rovina e sostituito da un altro nel 1682, ma quest’ultimo sarebbe andato in rovina a propria volta solo nell’Ottocento, quindi non ne risultavano da trasformare in parrocchiale (di questo oratorio dico qualcosa fra qualche riga).
Le notizie tramandate parlano però di nuova edificazione della chiesa dopo l’avvenuto crollo per frana di quella originaria. La spiegazione più semplice al mistero della nostra pietra pacchiana parrebbe essere che nel nuovo edificio, quello che c’è anche oggi, siano state inglobate parti significative della precedente chiesa, così da darle continuità con essa (e da avere materiale da costruzione disponibile). Anche altri elementi della muratura deporrebbero a favore di tale ipotesi.
Che tipo di opus avrà fatto realizzare don Giuliano? Bisognerebbe evidentemente avere un’idea di dove fosse collocata la pietra dedicatoria. Non parendo possibile che fosse in una costruzione di second’ordine – non so, un’edicola – sembrerebbe più sensato pensare alla chiesa, in particolare una sua parte, un ampliamento, una cappella. La chiesa infatti già esisteva e non risulta che fosse in condizioni fatiscenti, quindi pare fuori discussione un intervento maggiore.
Lo scomparso oratorio di San Francesco
Altra novità di pietra è l’architrave utilizzata in una casa apparentemente ottocentesca della località Case Pacchiani, a Reno Inferiore (mentre la chiesa principale è a Reno Superiore), in funzione di architrave sulla porta d’entrata. Non sembra in arenaria, come le altre pietre del luogo, ma appare diversa, più porosa e di colore differente. Al centro riporta uno scudo di foggia araldica, sormontato in origine probabilmente da una testolina di angioletto ora consumatasi. Inscritto con una forma simile ad un cuore lo stemma vero e proprio: un braccio che, da destra per chi guarda, regge un ramo, forse di palma, data la forma delle foglie, ma comunque non la classica palma del martirio che si vede nell’iconografia di molti santi, abilità dell’esecutore permettendo. Alle estremità vi sono due fiori finemente stilizzati e a sinistra, tra il primo fiore e lo stemma la scritta “D. F. P.” nell’omologo spazio a destra “1682”.
Cosa si può dirne? La data appare più antica della casa, ma questo, date le tecniche costruttive similari, potrebbe non essere vero; alcuni resti di arcate inglobate nell’attuale muro esterno della casa, in cui si apre la porta, dimostrano che questa è stata aggiunta in seguito, ma anche questo non significa molto. Più significativo è che la pietra si differenzia nettamente dal materiale da costruzione restante ed anche la dimensione non corrisponde. Inoltre la fine fattura comunque non ha nulla a che spartire con l’edificio.
Un anziano del posto ricorda che a fianco della casa, al di là della strada, dove ora un muro contiene un praticello o aiuola, c’era una grande catasta di pietre, una masera, e lì si tramandava ci fosse un tempo una chiesa, poi crollata.
Unendo queste informazioni ai dati d’archivio disponibili si potrebbe dare questa interpretazione: l’edificio crollato, effettivamente una chiesina, era l’oratorio di San Francesco, rinnovato nel 16822. In tale occasione, probabilmente, venne eseguito l’architrave che riporta proprio tale data. Per la tradizione di parroci Pacchiani, forse, si spiegherebbe sia la collocazione nei pressi delle loro abitazioni che la sigla “ D.F.P.” che potrebbe corrispondere a don Francesco Pacchiani, all’epoca effettivamente sacerdote residente a Reno ed omonimo del santo3. L’oratorio sarebbe stato malmesso già ai primi dell’Ottocento e quindi chiuso. Potrebbe effettivamente essere crollato del tutto ad inizio Novecento, attuandosi però da parte dei Pacchiani il recupero del pezzo e l’installazione nella loro casa.
I segni degli archi quindi non farebbero parte di un conventino, come pure si narra, ma del quale non c’è traccia documentale a Reno nelle opere degli ecclesiastici che si sono occupati delle varie parrocchie della diocesi, ma sarebbero i resti di un piano terra porticato, come ancora si notano in zona (per esempio a Valle di Castrignano).
Infine sullo stemma: come si può notare questo stemma ha qualcosa in comune con quello che decora la cornice dorata di un quadro della chiesa parrocchiale di Lesignano Bagni, che contraddistingue anche questo sito. Questo stemma a Reno è anteriore di una ventina d'anni, ma sembra che entrambi rappresentino un ramo di palma e che fossero stati fatti eseguire da ecclesiastici. Se avesse a che fare con tale status o se invece semplicemente chi aveva tale status fosse in grado di lasciare traccia dello stemma, è difficile da dire. In entrambi i casi è presente da parte dei committenti la consapevolezza di un simbolo comune ai (preti) membri della famiglia, derivanti tutti dal ramo di Beduzzo trasferitosi in parte a Villanova e in parte a Reno di Tizzano. Da Tizzano i progenitori del parroco di Lesignano se n'erano andati intorno al 1523, ciononostante dovevano essere rimasti legami abbastanza solidi ancora quasi due secoli dopo.
1) «Circa il 1765 l’antica chiesa di Vacarezza, posta in località Bore, rovinò a causa di frane, e l’Arciprete Schiappa don Giuseppe iniziò la costruzione della chiesa attuale nel 1768, che venne benedetta il 6 dicembre 1773»: così Dall’Aglio, Italo ... vol. II, pag. 807.
2) Benedetto il 9.9.1682, così lo Schiavi p. 436 ed il Dall’Aglio p. 808, alle voci relative a tale parrocchia. D’altro canto ciò corrisponde alla memoria delle persone del luogo. La segnalazione mi è infatti stata data gentilmente da Gianluigi Pacchiani, di Reno, ma residente a Milano.
3) Attestato almeno nel 1684: Parma, Archivio di Stato, Estimi e catasti farnesiani e borbonici, busta 1150, Reno.